Alla canna del gas. Ecco come la finanza ci tiene in ostaggio.

Era tutto prevedibile, tutto previsto, e ne parlai mesi fa in questo articolo per il Corriere di Roma.

Quella che stiamo vivendo non è altro che l’evidenza storica di un dominio della finanza sull’economia e della relativa perdita del primato della politica sulla gestione socio-economica dei popoli.

Non esiste gruppo o leader politico che possa promettere di mettere un freno ad una macchina inarrestabile, che davanti al ricatto dell’emergenza permanente e delle cause di forza maggiore rivendica la libera azione del mercato e della propria autonomia decisionale. Così, la finanza ed i grossi gruppi che la gestiscono a livello planetario, stanno comprimendo l’economia reale che avrebbe dovuto riprendersi gradualmente grazie alle ingenti somme di denaro pubblico messe in circolo per farla ripartire. Ed invece, sotto il peso dei rincari, la speculazione si camuffa di inflazione, e risucchia il PNRR ed ulteriori fondi pubblici messi in campo per arrestare la crescita dei prezzi.

Il tetto al prezzo del gas, infatti, sebbene sventolato come un aiuto per famiglie, consumatori ed imprese, non è altro che l’ennesima copertura pubblica di un costo stabilito dai privati. In sostanza, il tetto al prezzo del gas, funzionerebbe così: lo Stato determina una quota massima sopra la quale interviene pagando la differenza. Ovvero, per le energetiche, botte piena e moglie ubriaca: la bolletta la pagherebbe per l’80% (per esemplificare) il cittadino/impresa, il resto lo Stato, con i soldi pubblici, ovvero sempre il cittadino/impresa.

A ben vedere, i prezzi sono in continua crescita, da quando diversi Stati si sono adoperati finanziando con ingente liquidità pubblica, una ricrescita necessaria dopo la fase pandemica. Colpa della guerra? In parte, ma non del tutto. I provider energetici si dividono tra loro contratti di fornitura del gas, erogandole poi tramite le loro multiutilities, e dallo scambio di questi contratti, vengono concordati i prezzi di vendita.

Ma fuori da questo sistema esiste un mercato parallelo definito spot. Nella borsa di Amsterdam, per esempio esiste il Title Transfer Facility  l’indice di riferimento del gas europeo.

Questi mercati paralleli non si basano su domanda e offerta degli operatori e dei consumatori, ma su indici finanziari di scambio nelle principali borse mondiali che possono perciò liberamente speculare sul prezzo di vendita con cui si remunereranno gli investimenti nei titoli delle multiutilities. Più scambi di valore ci sono, più aumentano i valori delle azioni delle multiutilities.

Il 70% del gas in Europa, viene distribuito tramite i mercati spot, ed hanno proprio nell’indice TTF il proprio parametro di valutazione economica.

Tutto ciò è stato reso possibile dalla liberalizzazione del mercato, che ha concesso alle imprese di determinare il prezzo della materia prima, con variazioni di scambio finanziario, fuori dai vincoli del mercato tutelato. Proprio per questo l’Europa non vedrebbe di buon occhio il price cap perché misura contraria alla strategia europea di liberalizzazione del mercato che ha portato alla nascita di più mercati del gas, dove aziende e investitori si scambiano contratti per le forniture di gas.

L’Olanda si è imposta nel tempo come principale hub in Europa, ed il Title Transfer Facility (TTF) rappresenta il titolo di riferimento a livello mondiale, ed il leader di questo mercato è l’Intercontinental Exchange (ICE) una società statunitense di commodities e prodotti finanziari derivati. Nel 2021 gli scambi sul TTF sono aumentati del 45% e il gruppo ICE ha visto crescere del 10% i suoi ricavi nel settore dell’energia, a 1,2 miliardi di dollari, e nel 2022 si prospetta un’ulteriore gigantesca crescita.

Ed è così, che in questi mercati, è possibile che le emergenze, che richiedono un cospicuo intervento dei Governi, diventino le migliori opportunità di capitalizzazione finanziaria.

In sostanza, che la guerra continui a lungo, può essere nell’interesse di alcune società internazionali che, usando come pretesto l’oscillazione e l’instabilità geopolitica dei grandi fornitori, anche in assenza di reali cambiamenti nei quantitativi scambiati, negoziano innumerevoli azioni a prezzi sempre maggiori negli hub (come quello di Amsterdam) in cui il prezzo è passato dai 90,00 euro a megawattora a circa 300,00 euro per megawattora in meno di un anno.

Ed anche le sanzioni imposte alla Russia, in realtà, si prestano ad essere alibi per legittimare incertezze e oscillazione dei listini che così possono continuare senza l’intervento di organi internazionali a difesa del consumatore e delle imprese. Ecco spiegato la continua “minaccia russa allo stop del gas”, a cui segue, rigorosamente, un’impennata dei listini.

L’Europa, che ha perseguito la direzione neoliberista americana, ha sostanzialmente importato le stesse lacune di un modello con cui il libero mercato si trasforma nell’ opportunità dei più grossi di dettare legge, e solo con la legge si può sottrarre loro questa opportunità. Inserire una norma antispeculazione all’interno dei liberi mercati, e bloccare in borsa i titoli con eccesso di rialzo (come viene contrariamente fatto per eccesso di ribasso alle società che rischiano di saltare in aria) rappresentano iniziative molto più concrete, coraggiose e salvifiche di un’ulteriore valanga di denaro pubblico concesso alle multinazionali.

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