Cari politici i giovani non hanno bisogno di essere sedotti su Tik Tok, ma di essere ascoltati.

Alla ricerca sfrenata del consenso, tra i giovanissimi che spesso non hanno un’opinione politica polarizzata, i politici sfilano sui social, alle prese con format piuttosto innovativi, al limite del patetico.

Sbarcano così, uno dopo l’altro, su un social di matrice cinese, Tik Tok, la cui società sviluppatrice è ByteDance un’azienda accusata di aver collaborato con il Partito Comunista Cinese (i cui vertici sono nel CEO della stessa azienda) per censurare e sorvegliare i contenuti relativi ai campi di rieducazione dello Xinjiang e ad altri argomenti ritenuti controversi dal partito. Ma distanti dall’approccio etico dei nuovi modelli di consumo informatico e noncuranti delle policy sulla privacy e sulla gestione dati, i nostri politici rincorrono i giovani, dai 18 ai 22 anni.

Il social cinese che nasce nel 2016 come sharing di video con filtri e format musicali, sta cambiando volto, ma rimane il social nettamente più giovane, con un linguaggio tendenzialmente più frivolo e spensierato.

Sfilano uno dopo l’altro, Conte, Meloni, Salvini, Calenda, finanche Berlusconi con le sue barzellette, che facevano piangere in tempi di grasse risate, figuriamoci ora.

Disposti a tutto, per circa 2 milioni di voti che latitano tra l’astensionismo e l’indecisione.

Arriviamo al punto. Ai giovani di voce ne è stata data tanta, di parole ne sono state dette di più. Ciò che manca, e nessuno ad oggi ha teso l’orecchio, è l’ascolto. L’ascolto di una generazione quasi sempre criminalizzata per atteggiamenti che sono frutto di un corto circuito innescato dalle precedenti generazioni. L’ascolto per il grido di dolore di giovani che ambiscono al successo come modello edonistico basato su vizi e malaffare, altroché virtù, competenze e onestà.

L’ascolto di ragazzi a cui stiamo lasciando una terra desertificata, cementificata. Privati di un’educazione all’ambiente, all’ecosistema, perché siamo privi di educatori, e noi non lo siamo stati e non lo saremo. L’ascolto dell’urlo disperato di giovani compagni di classe che perdono un amico durante le ore di alternanza scuola lavoro. L’ascolto dei cervelli in fuga che chiedono solo meritocrazia e rispetto.

L’ascolto di tanti giovani che oggi nelle loro debolezze, nelle loro angosce, non trovano realizzazione, aspettative, speranze. Nel migliore dei casi, chi ci prova diventa un martire dello sfruttamento, del nepotismo, dell’inadeguatezza della classe dirigente. Nel peggiore, si accontenta di un sussidio detto erroneamente reddito, perché non è cumulabile, perciò è solo un credito spendibile, di poche centinaia di euro, che ne sanciscono di diritto il titolo di parassita, dal pulpito di una società profondamente corrotta moralmente, alla pari dell’informazione di cui si nutre l’intero sistema.

Se ogni adulto provasse a tornare ragazzo, per qualche minuto, ricorderà turbamenti, ansie, fastidi, che spesso lasciavano spazio alla socialità, allo sport alle novità e alle prime conquiste. Ed oggi, molte di queste, sono sparite, spazzate da pandemie, guerre, eventi climatici catastrofici ed una depressione che li ha compressi e circoscritti nel virtuale, dove costruiscono il loro mondo, l’unico possibile, in cui ci siamo infilati noi, solo per persuadere, convincere e ammaliare, per poi abbandonarli lì, chiusi nelle loro camerette, con un led stampato in faccia.

Potete anche sbarcare su OnlyFans, cambiare linguaggio, format, ma fino a quando non saprete ascoltare, potrete solo apparire patetici agli occhi di chi un giorno, raccogliendo la vostra eredità, sarà orfana di tutto ciò che siete riusciti solo a postare.

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